di: Carmelita Cianci

Guida ai vini della Valle Peligna

Dove la coltivazione della vite è documentata sin dall’antichità.

Nella Valle Peligna, provincia dell'Aquilala coltivazione della vite è documentata sin dall’antichità. Da Ovidio a Plinio il Vecchio sono tante e autorevoli le testimonianze di una tradizione vitivinicola millenaria, confermata anche dai numerosi rinvenimenti nelle campagne di Vittorito di frammenti di dolii in terracotta - contenitori usati nel periodo romano per il trasporto o la conservazione di vino, olio e grano - e di resti di alcune villae rusticae, fattorie con locali per la lavorazione e la conservazione di vino e olio.

Guida ai vini della Valle Peligna

uva Montepulciano, invaiatura
Uva Montepulciano (foto Slow Food)
Uva Montepulciano
Trebbiano abruzzese (foto di Praesidium)

La produzione di vino ha rappresentato in passato un’importante risorsa economica, tuttavia il costante spopolamento delle aree interne, in particolare nel secolo scorso, e l’utilizzo dei suoli per usi non agricoli hanno ridimensionato l’intero comparto.

Basti pensare che un tempo l’intera provincia dell’Aquila era la più vitata in Abruzzo, mentre oggi è il fanalino di coda dietro le province di Chieti, Pescara e Teramo.

Nella Valle Peligna le particolari condizioni pedoclimatiche, con suoli vocati, importanti escursioni termiche e una ventilazione ottimale, permettono di ottenere vini eleganti e dall’alto profilo organolettico. Il Montepulciano, che proprio in Valle Peligna ha avuto origine per poi diffondersi nel resto della regione, rimane il vitigno principe.

Il sulmonese Panfilo Serafini nella sua “Monografia Storica di Sulmona”, pubblicata nel 1853, scrive che, in quella zona, le viti più comuni sono «il montepulciano, sia primaticcio, sia cordisco o tardivo», e che il vero e proprio montepulciano è quello cordisco. Il primaticcio e il cordisco sono distinti dall’epoca di maturazione: il primo è più precoce.

Sempre a Sulmona, nel 1876, l’agronomo Giuseppe Sebastiani sottolinea come «le viti che comunemente si coltivano nel tenimento di Sulmona e dalle quali si ricava la maggior quantità di mosto, sono di uva appellata montepulciano nero; e questo è di due specie, cioè il primaticcio, che chiamasi pure gaglioppo, ed il serotino (cordisco, o tardivo) che si coltiva a preferenza dell’altro». Puntualizza anche che: «montepulciano - nero, a grappoli di media grandezza - acini ovali - è il più coltivato perché più atto a far vini neri».

Proprio sul Montepulciano della Valle Peligna, il Gal Abruzzo Italico ha commissionato uno studio all’Università degli Studi di Perugia che ha coinvolto 5 cantine locali nel corso della vendemmia del 2021, così da valutare la composizione dell’uva, l’incidenza dei grappoli attaccati da botrite ed eventuali fisiopatie, mentre in vinificazione, al termine della fermentazione, sono state eseguite analisi sulla composizione analitica dei vini ottenuti.

Nella mappatura della Doc Montepulciano d’Abruzzo, che copre l’intera regione, è presente anche la sottozona Terre dei Peligni che coincide con l’intera vallata ovvero la conca intermontana definita a nord-est/sud-est dalle pendici del massiccio della Maiella e a nord-ovest dalle propaggini della catena del Velino-Sirente. La vallata si erge a circa 400 metri sul livello del mare e la sottozona  comprende i comuni di Bugnara, Corfinio, Introdacqua, Pacentro, Pettorano sul Gizio, Pratola Peligna, Prezza, Raiano, Roccacasale, Sulmona e Vittorito.

Il vino Montepulciano d’Abruzzo Doc è ottenuto quasi esclusivamente dalle uve del vitigno omonimo, con l’eventuale piccola aggiunta (massimo 10%) di altre uve provenienti da vitigni a bacca rossa presenti sul territorio. E’ un vino che che si può apprezzare già a 8-10 mesi dalla vendemmia. Grazie alla sua attitudine all’invecchiamento riesce ad assumere una certa complessità nel tempo. Conserva l’intensità del colore, che va dal rubino al granato, i profumi che ricordano la marasca e i piccoli frutti neri, accompagnati da note leggere di spezie con un gusto deciso, lievemente tannico se giovane, avvolgente e vellutato, con un finale che richiama la liquirizia e il cioccolato, se invecchiato. La denominazione "Riserva" è prevista per i vini che affinano almeno due anni di cui nove in botti di legno.

Sempre da uve Montepulciano si ottiene il Cerasuolo d’Abruzzo che prende il nome dal suo colore rosa ciliegia e che in Valle Peligna si realizza quasi esclusivamente attraverso la vinificazione “in bianco”. Un tempo il Cerasuolo d’Abruzzo rappresentava il vino “rosso” quotidiano da consumare a tutto pasto, e la sua tradizione in questo territorio è probabilmente più antica del Montepulciano d’Abruzzo come lo intendiamo oggigiorno.

Il Cerasuolo è un vino fresco, dai profumi di frutta rossa, particolarmente apprezzato per la sua piacevolezza e versatilità negli abbinamenti in cucina.

Il Montepulciano resta il vitigno più diffuso sul territorio, ma sono ancora presenti, seppur in maniera esigua, altre varietà. Come si evince dall’opera di Edoardo Ottavi e Arturo Marescalchi, “Vade-Mecum del commerciante di uve e di vini in Italia” (1897): «i vitigni a bacca bianca più coltivati erano il Camplese o Campolese (Passerina), il Racciapollone (Montonico), il Tivolese, il Verdicchio, la Malvasia, il Moscatello, mentre tra le uve rosse il Montepulciano (cordisco e primutico), il Gaglioppo, l’Aleatico, la Lacrima».

Resta invece ignoto e non riconducibile a uno specifico vitigno autoctono della zona il “Peligno bianco” menzionato da Mario Soldati nel volume “Vino al vino” (terzo viaggio, 1975): «A Pratola Peligna si fa il Peligno Bianco, forse il migliore e più conosciuto dei bianchi abruzzesi. Al pari della grande maggioranza dei bianchi dell’Italia centromeridionale, si tratta di un Trebbiano».

Probabilmente, nel libro di Soldati, si fa riferimento a un particolare biotipo di Trebbiano Abruzzese, figlio della grande famiglia dei trebbiani che nel secolo scorso ha visto notevolmente ridimensionata la sua presenza su tutto il territorio regionale. L’alternativa potrebbe essere rappresentata dall’uva Camplese o Campolese ovvero la Passerina, imparentata comunque con il trebbiano; tuttavia a Pratola Peligna c’è chi ricorda come “peligno bianco” non un vitigno, bensì un vino ottenuto dalla vinificazione di uve di Trebbiano abruzzese, Malvasia e in alcuni casi Moscato.