di: Laura La Spada

La tradizione del vino cotto di Campli

Un prodotto unico già noto ai tempi dei romani

Si narra che Annibale, durante il suo passaggio in Abruzzo, utilizzasse una bevanda per rinvigorire i soldati e curare la scabbia dei cavalli. Le fonti romane stesse documentano la pratica della cottura del vino per creare bevande ricercate e dal gusto dolce.

La tradizione del vino cotto di Campli

Vino cotto
L'antico forno di cottura del vino cotto
Vino cotto
Il vino cotto di Campli è ottenuto solo dall'uva Montepulciano
Vino cotto

Oggi, questo elisir, è riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale d’Abruzzo. Ma come si ottiene e qual è la sua storia? Abbiamo esplorato i segreti insieme a Vincenzo Cioti, il cuore pulsante dell'omonima azienda agricola a Paterno di Campli (Te), dove tramanda con orgoglio la tradizione di questa straordinaria bevanda.

Ben lontano dai vini aromatizzati - nulla viene aggiunto al mosto d’uva - questo prodotto tipico della zona di Campli si distingue innanzitutto dagli altri pure realizzati nel centro Italia per l’utilizzo del solo mosto di uve Montepulciano

La base ampelografica, cioè la scelta delle uve, è fondamentale - racconta Vincenzo che, al vino cotto, ha dedicato persino la sua tesi di laurea in viticoltura ed enologia-  e nel caso del nostro vino, la maggiore persistenza e la rotondità sono dovute proprio all'uso esclusivo del mosto delle uve Montepulciano. Anche il colore è particolare, ambrato e scuro con sfumature che virano al caramello”.

Vincenzo spiega che il vino cotto è "un prodotto della vendemmia". Il mosto ottenuto dalla prima spremitura del mattino viene immediatamente messo a bollire non appena arriva in cantina.

Il processo avviene in un grande calderone di rame, proprio come si faceva un tempo, che la famiglia Cioti ha recuperato nei lavori di ristrutturazione di un edificio rurale. Il racconto prosegue: “Sotto le macerie abbiamo trovato un pentolone di rame da 600 litri, databile intorno al 1700. Era una pratica diffusa nella zona e sicuramente tante famiglie ne avevano uno”.

Analizzato e restaurato, il pentolone ancora oggi fa rivivere una pratica antica per dare luce a questo prodotto straordinario.

Il mosto appena pressato viene fatto sobbollire per circa otto o dieci ore. “Un tempo si proseguiva fino a sera, era una vera e propria festa” prosegue il giovane produttore,  spiegando come sia essenziale mantenere un fuoco vivo, lento e costante vigilare attentamente affinché il contenuto possa sobbollire senza traboccare mai dal pentolone.

Il risultato finale è una riduzione di circa due terzi rispetto al volume iniziale. Ed è proprio la cottura che conferisce al vino il suo inconfondibile aroma caramellato, arricchito da note di miele e frutta matura, e lo dota di proprietà antiossidanti.

Il mosto così concentrato viene travasato in contenitori di acciaio, lasciato riposare e raffreddare. Quindi, addizionato di mosto crudo, viene messo a maturare in botti di legno - castagno o rovere - dove proseguirà la fermentazione spontanea, lenta. 

L'obiettivo a lungo termine? "Vogliamo preservare l'arte di produrre il vino cotto, codificarne i passaggi e creare una comunità di produttori intorno ad essa. Non vogliamo che questa tradizione camplese vada perduta, anzi vogliamo farla conoscere e apprezzare ancora di più," afferma Vincenzo, che chiude con alcuni interessanti suggerimenti per l'abbinamento in cucina.

Scopriamo così che il vino cotto nasce come prodotto da fine pasto, quindi è ideale da abbinare a pasticceria secca, dolci al cucchiaio e dolci in generale. Un accostamento insolito che merita l'assaggio è quello con i formaggi, specialmente gli stagionati. C'è chi lo ha sperimentato persino nei cocktail...sicuramente un'esperienza da non perdere!