di: Laura La Spada

Il tartufo abruzzese, un tesoro tutto da scovare

Parola a Giovanni Schiappa, cavatore appassionato e presidente dell'associazione "Il Faggio"

Quali sono le prime località d’Italia che vi vengono in mente pensando al tartufo? Sicuramente il Piemonte, l’Umbria, o la Toscana. Ebbene, sappiate che vi sorprenderemo raccontandovi come, in Abruzzo, questo “fungo” sotterraneo cresce, e anche con ottimi risultati, collocando la regione tra le prime in Italia per produzione e qualità.

Il tartufo abruzzese, un tesoro tutto da scoprire

Ne abbiamo parlato con Giovanni Schiappa, cavatore appassionato e presidente dell’associazione “Il Faggio” con sede a Castelli, in provincia di Teramo.

Iniziamo dalle basi. Quali tartufi si trovano in Abruzzo, e di quale pregio?

«In Abruzzo si trovano molte varietà di tartufo, in particolare nell’Aquilano e nel Teramano. D’estate si raccoglie lo scorzone, in autunno l’uncinato seguito dal nero pregiato, che è maggiormente diffuso nella provincia dell’Aquila, dove i terreni sono più alcalini. Dal tardo inverno fino a marzo si trova il bianchetto, un po’ dappertutto nella regione. Lo scorzone è sicuramente il più diffuso. Si raccoglie abbastanza bene anche l’uncinato, meno il nero pregiato e ancora meno il bianco, che quindi è il più pregiato. Ma ce n’è poco, anzi, si trova soprattutto in natura, perché non si è riusciti a micorizzarlo».

Ci spieghi meglio che cosa vuol dire?

«Il tartufo è fondamentalmente un fungo, che conclude il suo ciclo vitale sotto terra, accanto alle radici delle piante. Alcune di esse vengono quindi micorizzate:è un procedimento che si fa in laboratorio e prevede che alle radici vengano spruzzate spore che col tempo daranno vita ai tartufi, una sorta di miracolo della natura».

Del rapporto tra tartufo e piante, infatti, si può parlare di una vera e propria simbiosi. Il tartufo sotto terra non potrebbe crescere senza l’apporto della pianta, che tramite la fotosintesi gli trasferisce tutto il nutrimento. A sua volta il tartufo, a contatto con la pianta, le apporta micorrize, arricchendola.

A influire sulla buona crescita di questo tesoro sotterraneo è anche il tipo di terreno. Il pH non deve essere acido, al contrario un terreno alcalino - quindi con un pH superiore a 7-8 - può portare a buoni risultati. 

Ma perché il tartufo d’Abruzzo è poco conosciuto?

«Perché è stato poco valorizzato. Fino ad ora, il destino del nostro tartufo è stata l’esportazione verso altre regioni, dove spesso e volentieri veniva spacciato per locale. Noi abbiamo iniziato a promuoverlo solo di recente, per esempio lo scorso anno con la prima edizione della festa del tartufo»

Per questo scopo nasce l’associazione Il Faggio, che riunisce una settantina di soci, tra cavatori, appassionati e amici.

«Facciamo promozione verso i ristoratori - racconta Giovanni -. Una volta l’anno organizziamo un pranzo sociale a cui sono invitati rappresentanti istituzionali, ristoratori, operatori di settore».

E poi tante altre iniziative come la gara per cani da tartufo, quest’anno giunta alla nona edizione. Tra tutte, l’educazione e la sensibilizzazione verso la ricerca del tartufo che ha trovato la sinergia del Gal Terre d’Abruzzo che, sostenendo la costituzione del Club di Prodotto e Territorio Tartufi, è in prima linea nella promozione della pratica della ricerca e  cavatura del tartufo.

«Quest’anno abbiamo coadiuvato un’iniziativa del Gal Terre d’Abruzzo a cui tenevamo molto - spiega Giovanni -. Una collaborazione con il Liceo Artistico “F.A. Grue” di Castelli che ha consentito, su supporto del Gal, la costruzione di un laboratorio per lo studio delle piante, con microscopi ottici e altri strumenti di analisi a disposizione dei ragazzi, per avvicinarli alla natura, allo studio delle piante da tartufo e chissà, magari, spronarli a diventare cavatori».

A proposito, come si diventa cavatore?

«Prima di tutto serve la passione. Bisogna sostenere un esame per munirsi di patentino, e quindi essere in regola ogni anno con il pagamento di una tassa annuale regionale. E poi rispettare le regole, come quelle sui periodi di apertura o di chiusura, in cui è inibita del tutto la raccolta per consentire alle tartufaie di crescere. Durante la ricerca dei tartufi si possono portare al massimo due cani con sé, mentre per la cavatura è consentito usare solo l’apposito strumento, detto venghello o vanghetto, non invasivo del sottosuolo. Io ho iniziato intorno ai cinquant’anni: tutto è possibile!».

 

Leggi qui l'approfondimento dedicato al tartufo d'Abruzzo.